Le microstorie di Gaetano Chierici tra vero e invenzione - di Andrea Baboni

L’esperienza figurativa di Gaetano Chierici  ha inizio negli anni 1851-1852 con la frequenza della Scuola di Belle Arti di Reggio Emilia; e, di seguito, con la frequentazione dell’Accademia di Belle Arti di Modena negli anni 1852-1853 in cui affronta accademie di nudi virili ove il corpo umano è interpretato con mano felice e inconfondibile scioltezza di segno.

In seguito è documentata la presenza dell’Artista a Firenze presso la Scuola di Pittura dell’Accademia delle Belle Arti nel 1858, povera di dati, in un periodo in cui era in atto in Toscana e non solo, la innovativa esperienza “macchiaiola” nella quale il tema del vero si articola nei termini di un rinnovamento tecnico e percettivo fondato su una visione strutturata per zone cromatiche, tra luci e chiaroscuri,  privilegiando l’immediatezza della stesura pittorica.

Di questo periodo di rapporti con l’ambiente fiorentino, si coglie traccia nei caratteri di alcuni dipinti a noi pervenuti. In particolare Donna che cuce, presente alla mostra antologica (cfr, 1986, Gaetano Chierici /Mostra Antologica, Tav. IV), riferibile al 1860 circa, è suggestiva composizione di grande interesse sia per caratteri stilistici che per riferimenti ai canoni della pittura macchiaiola, in particolare a certe opere di Giuseppe Abbati e al Borrani di 26 Aprile 1859, dipinto eseguito in quegli anni, ma soprattutto ai dipinti di Adriano Cecioni per la rappresentazione della figura in quella sua raccolta intimità, ambientata in un interno reso con rigorosa scansione geometrica dello spazio, costruito per esatte geometrie; affascina la postura della donna seduta, essenziale nel suo profilo giocato tra penombre e luminosità.

Negli anni Sessanta, la sua arte si esprime anche attraverso mirabili autoritratti o ritratti (Ritratto della madre; Ritratto del padre ; Ritratto del Garibaldino Eugenio Bianchini, datato 1868; Ritratto dell’amica Filomena Bertolani, Ritratto del poeta Veroni) intensi per espressività e indagine introspettiva. 

Da qui in poi le tematiche di Chierici subiscono una svolta radicale; il suo percorso figurativo si orienta verso altri soggetti : architetture di chiostri o paesaggi animati da figure di religiosi, con precisi riferimenti a certa pittura tematica che si rifà al gusto alla Granet (François Marius Granet, 1775-1849), che tanta influenza ebbe non solo in Italia. 

Negli anni intorno al 1865 la sua interpretazione idillica del reale si volge al racconto delle umili vicende descritte con sovrabbondanza di dettaglio e senso teatrale, tale da sollecitare emotivamente lo spettatore. Di contro ad una rottura radicale e profonda dei modi della tradizione accademica, si ha in lui, all’opposto, una valorizzazione del mestiere che si ricollega sia iconograficamente che stilisticamente a certe esperienze sei-settecentesche , non solo italiane, a quel Seicento fiammingo, ma soprattutto olandese, che nell’atteggiamento romantico di recupero dei più svariati momenti della storia figurativa tanto interesse suscitò all’epoca. Probabilmente l’Artista reggiano era affascinato non solo da certo specifico gusto per la ricerca dell’esatta definizione di mille particolari ed oggetti, quanto per quel diffondersi della luce che leviga le forme e  modella gli spazi per sottili passaggi di toni, che in seguito diverrà la sua cifra espressiva. 

Inizialmente la sua “concezione idillica, sorridente, amabile della vita dei poveri” lo porta ad immagini di contenuto più genericamente descrittivo come si può notare in alcuni dipinti quali :  Primi passi, opera datata 1865 e conservata a Nervi, presso la Galleria d’Arte Moderna di Genova ; Le gioie di una madre , del 1866, conservato a Firenze presso la Galleria d’Arte Moderna di Palazzo Pitti; L’istinto alle armi , datato 1868; La pappa , datato 1869. 

Nel 1869 introduce con  La maschera, opera esposta assieme a Un guaio serio, all’Accademia di Brera, una personale vena arguta che conferisce inconfondibile simpatia affettuosa ai suoi soggetti, al punto che il celebre pittore Domenico Induno gli chiede, a nome di un collezionista, di avere le repliche dei due bellissimi quadretti da lui esposti a Milano.

La maschera, ebbe grandissimo successo e venne replicato più e più volte, in diversi momenti. Chierici scrive ad un critico d’arte in una lettera del 19 maggio 1899 “ …del soggetto La maschera …ne ho fatte varie ripetizioni, ma in un modo così diverso l’una dall’altra, che tutte conservano la loro originalità…” (cfr, 1933, N.Quilici, La Mostra emiliana d’Arte Moderna. Un grande maestro : Gaetano Chierici , in  “Rivista di Ferrara” A.I, giugno, p. 6).

Occorre tuttavia distinguere le versioni autografe dalle tante copie, alcune autorizzate dall’Autore stesso – ne è traccia tra le carte degli eredi – apparse sul mercato o firmate da bravi pittori dell’epoca,  o con apposta, apocrifa, la firma del Maestro. Se ne ricorda una versione firmata da certo “Urbani”, ammirevole per la felice interpretazione pittorica. Solo un occhio esperto, con la sensibilità di un bravo conoscitore è in grado di riconoscere le opere autentiche dalle repliche.

 Ma è dagli anni Settanta dell’Ottocento in poi, che i caratteri stilistici dell’Artista reggiano evolvono rapidamente verso composizioni dove prevale la quotidianità familiare interpretata con inconfondibile fantasia figurativa. Egli giungerà alla definizione dello schema tipico di quella sua pittura di interni domestici che solo apparentemente non subirà più sostanziali variazioni; in realtà si affina con intelligenza descrittiva quasi maniacale, secondo schemi a lungo meditati, sviluppandosi negli anni seguenti sino a toccare i vertici di una pittura che non ha più nulla di convenzionale. Le sue invenzioni compositive rinnovano in profondità le tematiche e l’impostazione delle opere, all’unisono nell’evolversi dei caratteri stilistici sempre più raffinati.

Chierici inizia a dipingere un apparente disordine di cose ed oggetti, con rigoroso ordine mentale, intelligenza descrittiva quasi maniacale nella cura dei mille particolari. Ogni dipinto è composto da un insieme di “nature morte”, permeate da luci e penombre in quegli interni di case rustiche dove fanciulli ed adolescenti sono protagonisti tra vecchi muri sbrecciati, maestosi camini ancora così familiari ai nostri occhi, sempre simili ma ruotati od angolati diversamente, interpretati per equilibrati tagli compositivi, inquadrati tra pavimentazioni di cotto, qua e là sbrecciato, esatte nelle loro precise geometrie rettangolari od anche poligonali, dove il reticolo disegnativo dei mattoni diverrà una delle sue sigle espressive. Infine le colorazioni, in cui note alte, calibrate con sottile sensibilità, vivacizzano bassi accordi sui bruni e sulle terre, fan brillare di rosa raffinato le povere vesti, fan splendere l’azzurro di un grembiule, il rosso vivo delle calze, a testimoniare un sentimento profondo verso un mondo accarezzato con affettuosa attenzione. L’alta qualità pittorica si esprime con freschezza di pennellata nel modellato delle figure secondo ritmi composti con raffinato gusto e fine vena coloristica; gli umili oggetti della quotidianità si fanno motivo poetico e stilistico, fino a rasentare l’astrazione nella perfezione con cui sono resi.

Riferisce lo stesso Chierici parlando della sua pittura in una lettera del 10 marzo 1899 : “…A questa mia arte di pittore quadraio devo la mia felicità perché il riso perenne dei miei modellini si è sempre trasfuso nell’anima mia, scacciandone i tristi pensieri e i lugubri dolori della vita… “ (cfr, 1933, N. Quilici, La Mostra emiliana d’Arte Moderna. Un grande maestro : Gaetano Chierici , in  “Rivista di Ferrara” A.I, giugno, p. 6).

Una pittura di meticolosa qualità artigianale solo apparentemente priva di filtri intellettuali frapposti alla raffigurazione di una realtà familiare dimessa e quotidiana rappresentata con descrittiva completezza nella contemporaneità di più momenti in successione cronologica.

 La mamma è malata , opera datata 1872, è altro dipinto riassuntivo nella complessità di tanti aspetti delle sue molteplici qualità pittoriche.

Nel decennio successivo, la ricerca stilistica si affina fino a raggiungere forme espressive in cui non vi è più nulla di convenzionale, là dove l’invenzione figurativa rinnova in profondità  tematica e impostazione delle opere; in questo periodo realizza i suoi dipinti di più alta qualità tanto per ricchezza inventiva quanto per  fine descrittività. 

Uno spaventoso stato di cose, opera pur da lui ripresa in svariate versioni e repliche, costituisce un campionario di motivi assolutamente inedito, che fu in sovrabbondanza copiato da tanti pittori su specifica richiesta al Maestro, e di cui è traccia nel carteggio presso gli eredi e negli Archivi dei Musei. L’impronta è quella di un realismo aneddotico che trascura della realtà gli aspetti lirici ed atmosferici per una confezione dell’immagine che ha sì all’origine uno studio attento del vero, ma che tuttavia appare accarezzata e levigata in studio con sapiente e compiaciuta ricerca e il cui fascino emana dai singoli particolari, autonomi nella loro esattezza lenticolare, tesi ad un generale equilibrio formale.

Il dipinto fu inviato dall’Artista a Firenze presso il mercante Spranger il quale poi lo fece pervenire a Londra dove fu presentato all’Esposizione del 1881 presso la Royal Academy, a dimostrazione del grande successo e notorietà del nostro Artista non solo nazionale ma internazionale.

Chierici lavorò indefessamente fino ai primi anni del XX secolo, quando realizzò i suoi ultimi dipinti, non quadri stanchi o ripetitivi come si potrebbe pensare, ma che segnano una felice continuità con le opere degli anni precedenti, espressione di un identico sentimento lieto della vita.

Come ha scritto bene l’amico critico R.Tassi : “…come se la storia della pittura fosse rimasta immobile, il tempo non fosse trascorso e nel suo accumularsi non stesse per portare a lui l’evento di una malattia, che, pur lasciandolo in vita per altri vent’anni, fermerà per sempre il suo pennello”. (cfr, 1986, R. Tassi, Gaetano Chierici, pittore di microstoria, in “Gaetano Chierici 1838/1920, Mostra Antologica, p. 21).

Uno spaventoso stato di cose - 1880

olio su tela, cm. 95,5 x 114,5 – collezione privata.

Cfr.: “GAETANO CHIERICI 1838 – 1920. Mostra antologica” (Reggio E., Palazzo Magnani, 15 febbraio – 31 marzo 1986), catalogo dei dipinti con apparati critici e filologici a cura di Andrea Baboni e Elio Monducci, pag. 189.