Francesco Costabile a Berlino con ’Una femmina’

Professore alle Aldini Valeriani: "Una storia di finzione ispirata alla realtà. Racconto le donne che hanno voluto ribellarsi alla ’ndrangheta"

Pubblicato il 15 febbraio 2022 , di BENEDETTA CUCCI

di Benedetta Cucci

È ancora indaffarato tra mille interviste Francesco Costabile, e non c’è abituato. Del resto il suo film ’Una femmina’ è stato presentato in concorso domenica sera alla Berlinale, raccogliendo applausi e attenzione. Un progetto sostenuto dalla Regione, come l’altro film ’bolognese’ al Festival, ’Nel mio nome’ di Nicoló Bassetti, storia di una transizione di genere con quattro giovani protagonisti, che prende vita proprio sotto le Due Torri. Due titoli insomma, di grande impegno.

Di certo la presenza al Festival di Berlino è un’impresa impegnativa per Costabile, professore di grafica e comunicazione delle Aldini Valeriani, che ha sempre lavorato nel cinema scrivendo sceneggiature, girando documentari e piccoli lavori, e che con il primo lungometraggio – girato nella Calabria che lasciò a 19 anni per fare il Dams – è arrivato a uno dei festival più prestigiosi del mondo. Il film esce il 17 febbraio.

Costabile, insegnante regista. Lei è tenace e non ha mai abbandonato il suo sogno di fare cinema.

"Mai. Poi, per insegnare determinate materie, come quelle che insegno alle Aldini Valeriani, comprese fotografia e video, bisogna esercitare una professione. Soprattutto nell’ambito artistico non si può insegnare in modo teorico. Bisogna aggiornarsi, la scuola necessita di professionisti e il preside Salvatore Grillo mi ha sempre comunicato la sua soddisfazione per un’esperienza portata avanti così, che avrebbe molto giovato agli studenti. I due piani sono faticosi, per il momento ci sono riuscito, poi si vedrà."

Com’è iniziata l’avventura cinematografica di ’Una femmina’?

"Dal del libro inchiesta di Lirio Abbate ’Fimmine ribelli’, che racchiude in poche pagine le storie drammatiche di donne che si sono ribellate alla ‘ndrangheta negli ultimi 15 anni, perché si tratta di un fenomeno piuttosto recente quello delle donne di ‘ndrangheta che decidono di ribellarsi e diventare testimoni di giustizia. Alcune ci sono riuscite, altre sono state punite e uccise. Ricordiamo le Garofalo e Maria Concetta Cacciola, i due casi più eclatanti di morte violenta. Partito da questo materiale, la proposta mi è arrivata dal regista napoletano Edoardo De Angelis, che è stato mio compagno di corso al Centro Sperimentale di Cinematografia a Roma, che ha intuito che il soggetto che aveva scritto dal libro proprio con Lirio Abbate, poteva in qualche modo interessarmi".

Forse perché lei è calabrese? "Questo principalmente, ma anche perché sono stato sempre molto attento alle politiche di genere e all’universo femminile. Quindi è nato ’Una femmina’, storia di finzione che trae però spunto da fatti reali. E in effetti il film è dedicato a tutte le donne che si sono ribellate e alle vittime della ‘ndranghea".

E’ stato semplice tornare nella sua terra e girare un film del genere?

"Sì, perché abbiamo girato a Verbicaro, provincia di Cosenza, un paese bellissimo con una struttura architettonica alla Escher, che storicamente ha una tradizione anarchica, legata anche a Lotta Continua. Ha sempre tenuto lontano qualsiasi tipo di infiltrazione mafiosa. Qualche resistenza in più c’è stata in Aspromonte, perché all’inizio volevo girare lì. Il territorio è segnato dalla ‘ndrangheta e le persone sono stanche di essere sempre associati a episodi di un certo tipo".

Che messaggio porta ’Una femmina’?

"Le persone che sognano un futuro se ne vanno dalla Calabria, l’ho fatto anch’io. In questo caso, però, attori, maestranze, regista, tutti siamo calabresi. Non c’è dubbio, laddove si riporta cultura si combatte per il futuro".

© Riproduzione riservata